“Mettiamoci in Gioco” è il nome del progetto che ruota attorno alla tematica del bambino in condizione di disabilità e propone interventi per favorire la sua corretta inclusione nei contesti di gioco comuni guidati e organizzati (centri estivi, gruppi sportivi, eventi pubblici e privati con animatori, feste pubbliche e private rivolte ai bambini
Il progetto di inclusione sociale proposto da AGFI (Associazione Genitori Figli per l’Inclusione), ASI Comitato Provinciale di Pesaro Urbino e finanziato dalla Regione Marche con fondi Ministeriali intende agire sul contesto sociale del territorio della città di Fano e dei bacini di riferimento (ATS 6, ATS 7). Favorire l’inclusione significa fare un salto culturale sul contesto sociale e ambientale in cui la persona disabile si trova a vivere per eliminare tutte quelle barriere, non solo fisiche, ma anche psicologiche e culturali, che creano una discriminazione nella possibilità di svolgere attività e realizzare potenzialità. Nello specifico, possiamo considerare ormai quasi ovvio che nessuna società sportiva, nessuno spazio gioco, nessun centro estivo, nessun animatore di compleanno e così via si ponga come “escludente” rispetto al bambino disabile. Tuttavia, per il bambino in questione, può passare una differenza abissale tra il non essere escluso e l’essere incluso e pienamente accolto. Ovviamente un genitore questo lo comprende e lo coglie, e questa differenza che, a chi non vive il problema può apparire sottile, può invece diventare la causa di una forma di “autoesclusione” operata dalla stessa famiglia del bimbo disabile. AGFI ed ASI hanno voluto questo progetto che intende raccogliere l’ambiziosa sfida di costruire percorsi, sviluppare competenze e riqualificare contesti al fine di rendere inclusivi gli spazi ed inclusive le situazioni e le attività di gioco e di sport normalmente strutturati per bambini abili. Perché questo diventi una prassi si sono formati insegnanti sportivi che, attraverso la loro professionalità, possano gestire al meglio l’inclusione del bambino nel gruppo sportivo e questo ha determinato l’iscrizione di tanti minori con disabilità nei centri estivi sportivi Jump; attraverso un’attenta e personalizzata valutazione sul bisogno del bambino nasce la progettualità che permette l’affiancamento dell’educatore o un integrazione delle ore dell’educatore assegnatogli dai Servizi sociali di riferimento o eliminazione della quota di frequenza ai centri estivi Jump etc.. Sono stati formati animatori per acquisire competenze e conoscenze inclusive capaci di gestire al meglio l’inclusione del bambino nei contesti di aggregazione e animazione più diversi (feste di compleanno, momenti dedicati, spazi bambini nel contesto di eventi pubblici e privati…). Anche in questo caso gli animatori formati affiancheranno altri animatori negli eventi di gioco/animazione aperti a tutti i bambini al fine di sperimentare le tecniche di inclusione apprese.
Si sta acquistando in questi giorni il materiale per la creazione di una “collezione ludica” di giochi e ausili particolarmente adatti o specificamente progettati per l’inclusione nel gioco del bambino disabile. Infine si sta lavorando per agire sul piano culturale, rivolgendosi non tanto alle famiglie che vivono al loro interno l’esperienza della disabilità, ma piuttosto a quegli adulti che il tema non lo conoscono, ma che possono svolgere un ruolo importante, come educatori dei propri figli, per favorire l’inclusione del bambino disabile nel contesto di gioco in cui i propri figli sono inseriti. “Come Centri estivi sportivi Jump negli anni abbiamo avuto modo di toccare con mano il carico che portano sulle spalle le famiglie con figli con disabilità” dice Petrini Francesca Presidente ASI “ed abbiamo sentito il dovere di provare ad alleggerire questo peso realizzando questo progetto che sta aiutando veramente un numero alto di famiglie. L’argomento dell’inclusione è un argomento molto delicato, di sicuro non si improvvisa, per questo abbiamo dedicato ulteriori momenti formativi, e non sempre è facile trovare la soluzione giusta, ma il fatto di presentarci alle famiglie come realtà che mette al centro la persona ed in particolare il bisogno del bambino/a, sicuramente mette tutti nelle condizioni di fare bene e soprattutto di sentirsi bene”