Tre anni dalla tragedia del terremoto, Carloni: “La responsabilità del presidente Ceriscioli”

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MARCHE – “Dopo tre anni dal quel terribile 24 Agosto 2016 in cui il Centro Italia e le Marche furono colpite da un terribile terremoto è doveroso provare a fare chiarezza sulle responsabilità nella pessima gestione della fase post terremoto. Ancora oggi molti dei problemi non sono stati risolti. Ben 30.000 persone ancora sono fuori dalla propria abitazione, in particolare nelle provincie di Macerata ed Ascoli. Più di 700 sfollati vivono ancora in albergo e non hanno una propria abitazione. Molte piccole e medie imprese hanno chiuso ed altri sono in procinto di farlo. La fase della ricostruzione non è praticamente iniziata.

Ceriscioli, nella conferenza stampa di pochi giorni fa, ha tentato di scaricare sull’ultimo Governo Conte le responsabilità di questa situazione e di una gestione del post-terremoto caratterizzata da inerzia, da continui ritardi e soprattutto priva di una qualsiasi visione strategica che rilanciasse i territori colpiti da un punto di vista economico. Questo tentativo di scaricabarile non solo è ingiusto, tardivo, ma è soprattutto sbagliato, perché sono molteplici le responsabilità attribuibili al Presidente delle Marche.

In primis la grande responsabilità storica e al tempo stesso politica del Governatore Ceriscioli è stata nell’aver permesso la “centralizzazione” della gestione dell’emergenza nella figura di un unico commissario, nonostante fossero coinvolte più regioni con problematiche differenti tra loro. Il modello di ricostruzione post sisma del 1997 che colpì Umbria e Marche, funzionò benissimo e si fondava su un modello di decentramento, ossia l’opposto di quello che si stava proponendo.

Ceriscioli ha, inoltre, la responsabilità di essere stato complice della scelta sbagliata di nominare il 1° settembre 2016 Vasco Errani come Commissario straordinario per coordinare tutte le attività di ricostruzione nei territori colpiti dal terremoto solo per una logica compensativa tra le differenti correnti interne al Partito Democratico. In quella fase, il terremoto è stato vissuto dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi come l’occasione per sanare le faide interne al suo partito e dare una posizione di potere e visibilità ad un uomo chiave del gruppo dirigente di quelli che successivamente saranno gli scissionisti di MPD, divisi in bersaniani e dalemiani. Questa scelta è avvenuta nel silenzio assordante e complice del Presidente Ceriscioli e dell’intera classe dirigente regionale del Partito Democratico.

Sono evidenti da quel momento in poi gli errori, le inefficienze e le inadempienze che si sono susseguite nel tempo con costanza e puntualità e che hanno coinvolto l’azione della giunta regionale che è sempre stata in ritardo su ogni questione. Nella prima fase del post-terremoto, dove occorreva da subito imprimere una spinta al superamento delle inevitabili difficoltà che emergevano, l’atteggiamento del Presidente Ceriscioli è stato eccessivamente prudente, silente e mai sopra le righe, nonostante fosse palese come la fase di gestionepost terremoto targata Vasco Errani fosse fallimentare. Risuonano ancora le parole che disse Roberto Renzi, Presidente dell’ordine degli ingegneri di Ancona, nel Gennaio 2017 «Il nostro problema èil commissario Vasco Errani che vuole imporre nelle Marche il modello di ricostruzione dell’Emilia Romagna. Che però non ha funzionato!». Queste parole erano motivate dal fatto che, secondo il Presidente degli Ingegneri, a bloccare il lavoro c’erano «i mille paletti e le difficoltà» posti dal Commissario Errani alle operazioni di rilevamento dei danni alle case, che gli ingegneri della Regione stavano svolgendo, a titolo di volontariato, dal mese di settembre.

La scelta di un commissario “straniero”, di provenienza emiliana, è stata sbagliata e le dimissioni di Vasco Errani, avvenute nel settembre 2017, hanno solo fatto emergere l’anno trascorso purtroppo che si era già sprecato. L’intero anno dopo il sisma non ha visto alcuna azione di ricostruzione, ma solo di gestione dell’emergenza e di redazione di norme e procedure che hanno ingessato qualsiasi fase successiva. In questo anno nessuno ricorda le critiche da parte del Presidente Ceriscioli, della sua Giunta e del Partito Democratico a questa gestione Errani che ha messo le basi alla confusione che è seguita, in un continuo e necessario rincorrersi di decreti attuativi volti a modificare, correggere e semplificare ciò che era stato fatto ( o non fatto) nella fase iniziale.

Le conseguenze di questa fase sono state drammatiche e le popolazioni dei luoghi colpiti oltre il danno hanno subito anche la beffa dei continui ritardi e delle promesse non mantenute.

Sulle casette antisismiche (S.A.E.) le promesse si sono frantumate, fin da subito.
Il 23 settembre l’allora premier Renzi dichiarò : “Entro Natale daremo le prime venti ad Amatrice”, mentre le prime arrivarono solo a marzo.A quasi 11 mesi dalla prima scossa, erano state consegnate solo 400 “casette” sulle 3.800 richieste (1899 nelle sole Marche) dai 51 comuni del cratere che ne avevano fatto richiesta. Ad aggravare il tutto sono emersi i problemi delle casette (pendenze non idonee, boiler sui tetti che venivano messi fuori uso dalle basse temperature, umidità e muffe , tubi a pochi centimetri dal pavimento e fango ovunque) e la scoperta che questi moduli abitativi sono inadatti per le zone di montagna. Se inoltre valutiamo i costi sostenuti per la realizzazione e per le opere di urbanizzazione necessarie, si scopre che sono state investite ingenti risorse, da molti esperti ritenute eccessive nel calcolo per metro quadrato considerata la natura provvisoria delle strutture .

La nostra Regione in molte problematiche che andavano affrontate con rapidità e fermezza è sembrata sempre marginale e mai protagonista e la conseguenza è stata che siamo arrivati spesso per ultimi nel fornire risposte ai problemi.

La Regione Marche si è distinta per i ritardi accumulati nella rimozione dei detriti, fase preliminare rispetto a qualsiasi opera di ricostruzione successiva.
Erano piu’ di 2 milioni di tonnellate di macerie da rimuovere secondo le prime stime avvenute dopo i crolli del terremoto nel Centro Italia. Nel Lazio hanno cominciato a novembre del 2016 e di li a poco anche in Umbra e in Abruzzo. Nelle Marche sono partiti solo ad aprile. Perchè la rimozione delle macerie è partita con questo ritardo? Perchè nel corso del tempo è proceduta a singhiozzo ed ancora oggi i tempi sono eccessivamente lenti? A tre anni dal sisma si stima che siano state rimosse poco più della metà delle tonnellate tra pubbliche e private delle macerie. Un ritmo inaccettabile.

Tardivi nelle Marche, anche rispetto alle regioni limitrofe, anche i sopralluoghi negli edifici dell’area colpita dal sisma. Il personale era insufficiente rispetto alle esigenze reali ed i lavori di supervisione si sono protratti eccessivamente con la compilazione di schede Aedes e schede Fast, due tipi di sopralluoghi che si accavallano e che hanno dilatato ulteriormente i tempi per arrivare a un quadro generale sull’agibilità di edifici privati e pubblici. A questo si sommano i ritardi nella messa in sicurezza degli edifici visto che, ancora oggi, molte zone non sono transitabili come nel caso di Camerino dove una parte consistente del centro storico è ancora “zona rossa”. Come può ripartire l’economia di un territorio che fa della storia e dell’identità il suo punto di forza se il suo centro storico rimane chiuso? Infatti, come emerge dai dati forniti dal Comitato Concentrico per la salvaguardia del centro storico, a Camerino dopo tre anni dal sisma non ci abitano piu’ 1200 persone e gli edifici messi in sicurezza sono solamente il 30,60% degli edifici previsti.

Come dimenticare, inoltre, le denunce delle associazioni di categoria nel settore dell’agricoltura per colpa dell’incapacità della Regione Marche di garantire l’arrivo delle stalle mobili, alcune delle quali si sono rivelate talmente fantasma e sono crollate.

Già nel Gennaio 2017 si era alzato il grido degli agricoltori “Con le temperature a picco e l’aumentare dei disagi per le aziende è importante l’arrivo e il completamento delle strutture previste risolvendo anche i problemi dell’allaccio di energia e acqua, così da permettere la continuità dell’attività di allevamento”. Invece poco o nulla è stato recepito di quella protesta e molti animali, che avevano bisogno di ricoveri visto le stalle distrutte o inagibili, si sono ritrovati in mezzo alla neve e sono morti causando pesantissimi danni alle aziende agricole. Al posto che garantire la continuità delle imprese e permettere la ripresa dell’economia locale, che in quelle zone è strattamente legata al binomio cibo e turismo, si è accettato senza reagire la fine di molte realtà agricole del territorio.

Infine la nota umanamente più dolorosa perchè limita la speranza di guardare al futuro con ottimismo ed impedisce di vedere la fine di questa tragedia : la promessa della ricostruzione è rimasta tale. Nell’edilizia privata le pratiche evase per la richiesta di contributo rispetto a quelle presentate sono troppo poche, ad oggi circa 6000 pratiche private, molte delle quali ancora al vaglio della fase istruttoria su 46.000 immobili danneggiati. Una percentuale impietosa che non lascia intravedere una prospettiva di normalità nell’immediato futuro. Ritornare ad abitare le zone colpite dal sisma significa ritornare a farle vivere, a far crescere una comunità, continuare a far vivere le tradizioni e le “radici” di un luogo. Senza la ricostruzione questo non potrà avvenire.

La cosa più grave ad oggi è l’assenza di un piano di rilancio economico di quei territori. Non sono sufficienti le risorse messe a disposizione dai fondi Europei, non bastano le decine di bandi e sottomisure se manca una strategia di base capace di rilanciare con azioni straordinarie lo sviluppo e l’occupazione. In questi anni non sono mai pervenute idee creative, proposte innovative dalla Giunta Regionale, ma solo una gestione ordinaria di un lento declino della nostra economia. Sbloccare la ricostruzione dovrebbe essere l’urgenza prioritaria per pensare al futuro economico e sociale dei territori colpiti. Ceriscioli si è limitato a gestire i problemi contingenti, ma non ha mai provato a risolverli. Dal Presidente Ceriscioli doveva arrivare uno slancio, un’azione propositiva dirompente che inchiodasse il Governo di allora alle proprie responsabilità e la classe dirigente economica regionale a sentirsi protagonisti del rilancio economico di una regione che fino a pochi anni fa era un modello economico di efficienza. Questo slancio, questa proposta, invece, non è mai arrivata. Dietro ai numeri delle risorse stanziate dalla Regione Marche manca un disegno, una strategia, una visione con cui uscire da questa situazione in cui ci ritroviamo oggi.

E’ tempo di reagire e non di subire ciò che accade.

Non possiamo accettare in modo dimesso la prospettiva prefigurata dall’ing Cesare Spuri, direttore dell’ufficio speciale per la ricostruzione, secondo il quale “con questi ritmi potremmo immaginare una ricostruzione della durata di 15-20 anni”.
Le Marche non hanno a disposione 20 anni di tempo per regire perché nel frattempo toglieremmo la più importante per i nostri concittadini senza la quale non si risorge: la speranza!

Le Marche non possono continuare ad aspettare che qualcosa accada per vedere un cambiamento che ridiano una prospettiva per il futuro dei luoghi colpiti e dell’intera Regione.

E’ questa la responsabilità più grande del Presidente della Marche, Luca Ceriscioli.
E’ questa la ragione per cui, piuttosto che incolpare l’attuale governo con il gioco politichese dello “scaricabarile”, Ceriscioli dovrebbe recitare il mea culpa”.

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