“Sono tante le carenze e le valutazioni ampiamente opinabili presenti nella delibera con cui il Parco del San Bartolo ha approvato il Piano di Gestione del cinghiale all’interno dell’area protetta. Eppure, prima ancora delle questioni tecniche, il provvedimento fa registrare un’amara sconfitta rispetto a quei principi e quegli obiettivi che l’istituzione del Parco contemplava al momento della sua nascita. Un’ammissione dell’incapacità di fare vera conservazione e di impostare correttamente una seria progettualità che metta al centro i processi naturali. La ricerca di un compromesso è svanita nel momento in cui il Parco ha iniziato a collaborare, prima ancora che con le associazioni ambientaliste, con ecologi e con i professionisti dell’educazione ambientale, con associazioni venatorie come l’URCA, e questo è il risultato. Nel Parco si spara; nel Parco di fatto la caccia è aperta. I punti deboli del Piano di Gestione hanno un comune denominatore scientificamente insostenibile: l’eradicazione del cinghiale. Concetto ribattezzato come “assurdo biologico” in quanto irrealizzabile in un territorio che non è un’isola in mezzo al mare ma un promontorio collegato ad aree interne dove, visibili o non visibili, ci sono dei corridoi faunistici da dove quei pochi cinghiali oggi presenti devono essere arrivati. Il Piano prevede di porre ostacoli in punti di accesso al Parco ma è una pura illusione fermare animali selvatici che per i motivi più svariati si muovono su territorio libero, senza parlare dell’ipotesi di realizzare porte di accesso che non facciano passare i cinghiali, ma che non danneggino caprioli o altri grandi mammiferi. A meno che l’obiettivo ultimo non sia innalzare una recinzione lungo tutto il perimetro del Parco (ma allora la figuraccia sarebbe di livello internazionale), anche questi provvedimenti risultano mal consigliati e non causeranno altro che spesa inutile di denaro pubblico. Un Parco Naturale dovrebbe valutare la presenza del cinghiale, pur con le sue criticità certamente da gestire, come un aumento della biodiversità e un altro passo nella direzione di quella ricostituzione degli ambienti naturali di cui parla la legge sulle aree protette con la quale, del resto, il Parco è stato creato. Ricostituzione significa permettere il ritorno di specie localmente estinte dall’uomo e il cinghiale, anche se il Piano di Gestione dice clamorosamente il contrario, è una specie che storicamente ha certamente popolato questo territorio. Preoccupano molto anche le modalità e i tempi per gli abbattimenti: il Piano prevede abbattimenti da inizio novembre fino alla fine di marzo, quando già i sentieri del Parco vengono utilizzati, e viene prospettata, oltre all’appostamento fisso, addirittura la caccia in girata che significa l’uso del cane che stana i cinghiali e cacciatori che procedono in atteggiamento di caccia con l’arma carica. Insomma, un Piano di Gestione del Cinghiale con le caratteristiche, le carenze scientifiche e l’improvvisazione, di un Piano di Gestione di una qualsiasi Oasi di Protezione, che però è tutt’altro genere di istituto. Riportare la caccia in un’area così piccola, con tutto quello che ne consegue, è come ammainare la bandiera del Parco che di fronte “all’invasione” di una quindicina di cinghiali non sa fare altro che calpestare i principi stessi della sua istituzione”.
La Lupus in Fabula