MARCHE – “Se l’8 Marzo, festa della Donna, è oramai la giornata della consapevolezza della carenza di Diritti e Pari Opportunità tra donne e uomini nel nostro Paese, tutti gli altri giorni dovrebbero essere dedicati a trovare percorsi per addivenire a soluzioni atte a far si che la parità, chiaramente sancita dai principi costituzionali, non resti poi un fantasma nella quotidianità.
L’ Assessorato Regionale ai Diritti e Pari Opportunità ha deciso di intraprendere un percorso in questa direzione, avviato l’ 8 Marzo dello scorso anno, dando vita, insieme all’Osservatorio di Genere, le Università di Camerino e Macerata e il Comune di Macerata, al progetto RIPARO – RIpensare le PARi Opportunità. Uno studio degli impatti e della conoscenza della condizione femminile nel mondo del lavoro per comprendere appieno la realtà per poi elaborare proposte. Abbiamo indagato il lavoro dipendente e il lavoro autonomo, con il contributo essenziale delle donne lavoratrici, delle associazioni datoriali e sindacali: ne è emerso un risultato, per me ricco di stimoli per riflettere e mettere in atto azioni e scelte politiche necessarie.
Dalla prima lettura dello studio nascono subito le prime proposte proposte.
La prima scelta da intraprendere è culturale: superare il concetto di pari opportunità e parlare di una visione nuova della Differenza, che da divario da colmare diviene innovativo strumento di inclusione e crescita. Fortificata da uno studio del 2012 sviluppato dal Centro Studi di Confindustria, secondo cui un allineamento dal tasso di occupazione di uomini e donne in Italia produrrebbe un incremento del PIL di circa 23, 6 punti percentuali, in questa ottiva, si inserisce appieno la puntualizzazione emersa da Riparo della necessità di un Diversity Managment nel mondo dell’impresa capace di valorizzare nei vari aspetti economico, sociale e del benessere, il lavoro delle donne. Da qui anche il possibile sviluppo di una nuova figura professionale, il Diversity Manager per la cui formazione e il successivo inserimento lavorativo, abbiamo a disposizione quale strumento di realizzazione i fondi strutturali europei del programma FSE.
Già nella programmazione europea 2014/2020 sono previste azioni specifiche per le donne attraverso l’attivazione di servizi di conciliazione, che possono dar luogo ad ulteriori 4000 nuovi inserimenti lavorativi, un dato puntuale che rappresenta solo una minima parte di quei 70mila nuovi posti di lavoro quale impatto occupazione previsto grazie alla nuova programmazione dei fondi FEIS nella nostra Regione e di cui le donne dovranno e potranno essere motore. Il tema della Conciliazione, come emerge anche da RIPARO resta centrale e l’Assessorato Regionale già del 2014 ha messo in atto il progetto “Maternità come opportunità” finanziando progetti di conciliazione presentati dalle PMI del territorio regionale. E in tema di conciliazione vanno sviluppati servizi più dinamici e rispondenti ai bisogni delle donne lavoratrici quali asili domicialiari ( già attivati dalla Regione) e asili aziendali.
Un altro dato rilevante che emerge dal progetto RIPARO è il crescente interesse delle donne imprenditrici verso l’agricoltura, anche come scelta nuova e non necessariamente legata a tradizioni familiari, con un lavoro che si esplicita con forte carattere innovativo e la capacità, forse sensibilità tutta femminile, di dar luogo in un contesto produttivo alla creazione di servizi sociali ( agrinido o ospitalità sia diurne che residenziali di persone con abilità differenti).
Chiaro che un dato come questo programmaticamente mi porta a pensare ad un investimento più specifico per le donne in agricoltura, attraverso lo strumento del PSR, con delle misure più mirate a questo grande potenziale da valorizzare in un settore che, anche sulla base dei nostri dati, assume un carattere sempre più strategico.
Lo studio è connotato da un forte carattere distintivo in quanto ha analizzato un contesto specifico, come quello marchigiano,caratterizzato da un tessuto economico basato sulla piccola e media impresa ed è una fonte di conoscenza statistica da approfondire ulteriormente ed ampliare ad altri contesti.
Paola Giorgi
Assessore regionale ai Diritti e Pari Opportunità
L’ANALISI DEI DATI
Per quanto riguarda il settore tessile-calzaturiero in collaborazione con le tre sigle sindacali (Cgil-Cisl-Uil) sono state intervistate lavoratrici dipendenti (operaie generiche, qualificate e impiegate)emerge che la formazione viene intesa per lo più come funzionale al lavoro chele donne intervistate già svolgono: infatti il 26% di queste afferma che vorrebbe acquisire una formazione specifica per migliorare la mansione svolta;l’11% che vorrebbe acquisirla per ottenere un aumento salariale e solo il 4,10%per ottenere un avanzamento di carriera; ben il 23% dichiara invece di non avere tempo da dedicare alla formazione e il 12,8% dichiara che sarebbe inutile mentre il 5,6% non risponde. Le donne che non vorrebbero acquisire una formazione specifica sono il 41,4%. Alla domanda “Qual è il maggior riconoscimento ricevuto in azienda?” il 48% risponde di non aver mai avuto alcun riconoscimento; il 19% di aver avuto un riconoscimento per la correttezza dimostrata con le/gli colleghe/i; l’11% di aver avuto un riconoscimento per la propria bravura e precisione (doti anche molto femminili, a volte purtroppo stereotipizzate); l’11% di aver ottenuto un aumento salariale e il 7%di aver avuto un riconoscimento per aver rispettato i tempi di produzione. Il tasto dolente riguarda la conciliazione: il 23,3% delle donne intervistate dice di non aver mai utilizzato nessun strumento di conciliazione. Mentre il 36%delle lavoratrici dice di aver utilizzato uno strumento “tradizionale” e tipico di una fase “pre-politica di conciliazione” e cioè i permessi, solo l’8% di esse dichiara di aver utilizzato il part-time e il 12,4% il congedo parentale. Pochissime lavoratrici hanno scelto l’opzione di risposta Lavoro a distanza che invece potrebbe rappresentare in molte aziende una formula efficace di allontanamento dal posto di lavoro. Nonostante l’impegno sul fronte della conciliazione da parte delle istituzioni (si pensi ad esempio al Protocollo d’Intesa “Per la promozione di azioni positive volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” siglato il 5 febbraio 2014 dall’Assessore ai Diritti e alle Pari Opportunità Paola Giorgi e dalle tre sigle sindacali, dalla Cna, da Confindustria e altre organizzazioni datoriali) il sostegno maggiore alle donne che lavorano arriva dal coniuge/convivente(32,7%), dai genitori/suoceri (24,2%), o genericamente dai familiari (11%). Il 21,3% delle donne intervistate risponde di non avere nessun tipo di aiuto, solo il 3% ricorre alle strutture pubbliche per conciliare vita familiare e vita professionale e il 3,6% a strutture private. Lo scarso utilizzo dei servizi(sia privati che pubblici) evidenzia due tendenze: la prima di scarsa diffusione e la seconda di scarso utilizzo degli strumenti di conciliazione.
Nel settore agricolo, in collaborazione con Coldiretti, sono state intervistate le imprenditrici. Dall’analisi dei dati emerge una realtà molto vivace soprattutto laddove a capo dell’azienda vi è una donna di una età compresa fra i 30-40 anni. Se è vero che per il 27%delle imprenditrici la scelta di lavorare in agricoltura è stata fatta per continuare l’attività di famiglia, per il 48% ha rappresentato una opportunità mentre per l’8,1% è stata una necessità dettata dalla crisi. Il 2,8% rispondendo“altro” ha definito il lavoro in agricoltura “Una sfida”. Alla domanda su quale sia la percezione di una donna alla guida di una azienda agricola il 48,6%risponde di non essersi mai posta il problema. La seconda opzione di risposta,“Come quella di un uomo: contano le capacità” aggiunta quasi come una sfida ha accolto molti consensi (35%), e mette in evidenza quanto il merito e le capacità contino quando si tratta di guidare un’azienda. Un dato sorprendete sebbene frammentato è quello che emerge dalle risposte che riguardano l’identità professionale: l’identikit è quello di una donna innovatrice (26,5%), pratica(24,4%) e creativa (20,4%); una donna attenta alla operatività, al pragmatismo e insieme all’elemento dell’innovazione che poi è legato alla passione per il lavoro. Alla domanda su quali siano le criticità che una donna incontra nell’aprire e nel condurre un’azienda agricola emerge chiaramente che le maggiori difficoltà sono di tipo economico (81%): questo dato conferma ciò che già è emerso da altre ricerche sulle imprese femminili circa le differenze di opportunità di genere in ambito finanziario (si pensi ad esempio alle richieste di garanzie rivolte più alle donne che agli uomini, un minor accesso al credito per impresa individuale femminile, tassi di interesse più elevati).Paradossalmente queste criticità permangono in un momento in cui le statisti che ci dicono che aumentano le donne imprenditrici e titolari di imprese così come aumentano le donne che percepiscono stipendi più alti degli uomini. Anche nel caso delle imprenditrici la conciliazione non c’è e se c’è non passa attraverso il congedo parentale (8%), strumento poco vicino alle dinamiche delle imprese femminili: il 56% delle imprenditrici dichiara di non aver utilizzato nessuno strumento di conciliazione e solo il 16,6% risponde di aver utilizzato il part-time e il 10,4% gli orari flessibili. Di nuovo a sostenere le donne nel compito di conciliare sono il coniuge/convivente (63%) e i genitori/suoceri (20%). Ancora una volta è la famiglia a permettere la conciliazione tra vita professionale e vita familiare.
Infine dai focus group, organizzati in collaborazione con la CNA in provincia di Ancona,Macerata e Ascoli Piceno, emerge che c’è una grande attenzione alla formazione che è intesa o comunque percepita come necessaria per sviluppare l’azienda e migliorare la qualità del prodotto. Le imprenditrici artigiane che hanno partecipato ai focus confermano le tendenze emerse dai questionari: la conciliazione non c’è e l’aiuto maggiore arriva dalla famiglia e dalla rete familiare. La criticità su cui le imprenditrici insistono riguarda la mancanza di tutele e la necessità di intervenire con delle misure pensate su misura per le imprenditrici soprattutto per quanto riguarda la maternità e la malattia. Sul fronte della discriminazione, così come per le imprenditrici agricole, viene percepita da un punto di vista economico”.